Storie di tartufi

Storie di tartufi

Non si può parlare di tartufo senza citarne qualche storia, o qualche aneddoto, ritornando ad altri tempi, quando ad esempio si poteva andare a cercarli anche di notte e, senza le lampadine a led, ci si arrangiava come si poteva con le lampade ad olio o a carburo. Oggi solo alcune Regioni ammettono la ricerca dei tartufi nelle ore notturne: Liguria, Lombardia, Piemonte. In realtà, nei mesi tardo-autunnali ed invernali, non è necessario andare la notte per entrare ‘a buio’, basta andare verso le 17:30-18:00 e nel bosco è già abbondantemente scuro.

Nel bosco, a buio.

Ed allora immaginate di entrare nel bosco, anche con la luna piena o, come dicevano i vecchi tartufai, nel ‘terzo quinto di luna’, ovvero il periodo che va da due giorni prima della luna piena a due giorni dopo. Il termine deriva dalla divisione del ciclo lunare di 27 giorni in cinque parti, ognuna di circa 5 giorni. Il terzo di tali periodi è, per l’appunto, il ‘terzo quinto’, ed i vecchi tartufai lo consideravano, a torto o a ragione, uno dei momenti migliori per l’inizio della ‘buttata’. Ma ritorniamo all’ingresso nel bosco. Qualche tartufaio navigato ci ha raccontato l’aneddoto di quando, entrato ‘a buio’, dopo un pò che camminava, ad un certo punto sente un piccolo scoppio e la piccola lampadina elettrica si spenge di colpo. A quel punto, senza vedere niente, inutile proseguire. Anche aspettando parecchi minuti, per far adattare gli occhi al buio, la situazione non migliora poi così tanto, il buio è sempre pesto, non ci si vede da qui a lì. Ed allora, per evitare anche di farsi male perché spesso i luoghi da tartufi non sono poi così agevoli, l’unica e sconsolante soluzione è quella di mettersi a sedere ed attendere l’alba. Con tutti i ritardi e le conseguenze del caso, soprattutto quando a casa c’è qualcuno che aspetta. Chi ha ascoltato questa breve storia, vi assicuro, quale soluzione non vedrebbe che una metodologia ferrea ed invalicabile: portare SEMPRE due lampadine bene in efficienza e, al primo cedimento di una delle due ( pile consumate, guasto improvviso ) , tornare IMMEDIATAMENTE indietro. Punto.

Ma tanti anni fa i led non c’erano, non c’erano le lampadine da pescatore, quelle con l’elastico da mettere alla testa, per intendersi, in modo da lasciare le mani libere. Allora c’erano le lampade ad olio o a carburo, pesanti, ingombranti, che certamente non aiutavano i movimenti. Muoversi con quelle non era poi così facile, figuriamoci poi se pioveva o, magari, il terreno era, come spesso avviene durante i mesi di novembre e dicembre, completamente bagnato. No, proprio non doveva essere facile.

La ‘ruota di scorta’

SI sente dire per ogni dove che ‘il clima sta cambiando’ anche se, ostinatamente, qualcuno continua a ritenere che la cosa non sia realistica, che ci siano dietro chissà quali interessi. Ma anche dal mondo del tartufo, fungo estremamente sensibile ai dati termopluviometrici stagionali, emergono delle osservazioni oggettive che testimoniano del come la stagione stia effettivamente cambiando. Tanti anni fa, infatti, magari c’erano anche molti meno tartufai, quindi meno concorrenza, però i numeri erano affatto diversi. Da una parte, un vecchio tartufaio che riferisce di aver trovato, in una giornata magari eccezionale di circa 40-50 anni fa, circa 8 kg di Tartufo Bianco Pregiato da mattina a sera, arrivando a riempire la sua ‘carniera’, ovvero la caratteristica tasca posteriore delle giacche da bosco posta sulla schiena. Ma forse il fatto più curioso è che a quel tempo si racconta di un tartufaio che, avendo trovato circa 40kg di tartufo in un anno, era stato soprannominato la ‘ruota di scorta’. Il motivo era semplice: gli altri, quelli magari più bravi, ne avevano trovati mediamente 60kg. Erano altri tempi: durante le estati di allora, 2-3 volte al mese, venivano giù dei temporali estivi anche intensi che contribuivano a mantenere l’umidità giusta nel terreno ed i tartufi erano assai più abbondanti di oggi. Trovare 60 Kg di Tartufo Bianco in un anno vuol dire circa 20Kg al mese, un quantitativo oggi normalmente irraggiungibile anche nelle migliori annate, oltretutto sempre più rare. Rimandiamo per questo alla pagina dei prezzi storici, dai cui dati oggettivi si può facilmente ricavare una conferma di quanto appena detto.

Le ‘patate che puzzano’

Tanti anni fa c’erano delle persone che andavano a lavorare la terra per conto di altri, quindi, con i mezzi di allora, si spostavano verso altri poderi o anche solo appezzamenti di terra e coltravano anche nei mesi in cui fruttifica il Tartufo Bianco Pregiato. Il nonno della persona che ha raccontato questa storia dice che in quei tempi accadeva qualcosa di strano, durante la lavorazione della terra, soprattutto al limitare del bosco, attorno a piante ben precise: il coltro tagliava e lasciava scoperte delle strane patate, che avevano un odore strano, forte, intenso. Quasi puzzavano.

Oggi sappiamo che erano dei Tartufi Bianchi Pregiati, anche perché quella zona in cui venivano trovate le ‘patate che puzzano’ è oggi conosciuta come una delle migliori zone da tartufo del territorio dove lavorava la terra il nonno della persona che ha raccontato questa storia. Allora la cosa passava pressoché inosservata perché la raccolta dei tartufi non era poi così diffusa e, magari, solo occasionalmente veniva riportata puramente come fatto curioso.

I giorni dalla prima acqua

Oggi abbiamo stazioni termo-pluviometriche automatizzate che, addirittura in tempo reale, ci danno preziose informazioni su quali potranno essere le aree maggiormente produttive. Unendo magari questi dati a quelli di origine geologica del terreno, saremo in grado di fare delle previsioni abbastanza attendibili sul dove andare. In linea di principio, con opportune  Application Programming Interfaces potrebbe essere facilmente implementata una App in grado di fornire indicazioni in tal senso. Posto di aver raccolto i dati geologici e termopluviometrici del caso, il problema ulteriore da risolvere è ‘quando’ iniziare la ricerca. Ed anche qui, ricordiamo con piacere qualche vecchio tartufaio che, almeno per il Tartufo Bianco Pregiato, contava ’72 giorni dalla prima acqua’, ovvero circa 2 mesi e mezzo da quando il terreno aveva raggiunto le condizioni ideali per fruttificare, posto ovviamente che esse perdurassero abbastanza a lungo per garantire la crescita dei tartufi. Incidentalmente, anche nella letteratura specializzata si concorda con questa ipotesi empirica. Oggi sappiamo, infatti, che il Tartufo si forma e rimane immaturo nel terreno, col la gleba completamente bianca e privo di profumo. Questo finché non si realizzano le condizioni ideali per la maturazione, ovviamente diverse da specie a specie, durante la quale inizia la formazione delle striature nella gleba e l’emissione del caratteristico profumo. Ecco sfatato il mito del Tartufo che cresce dal nulla: è semplicemente già formato e la maturazione avviene nel giro di pochissime ore, rendendolo individuabile.

Il Tartufo Bianco Pregiato più grande del mondo

Anche i Tartufi Bianchi Pregiati hanno la propria classifica mondiale, ovviamente tutta Italiana. Ecco, infatti, la graduatoria di sempre:

1° posto : 2.520 grammi , 1954

2° posto: 2.010 grammi, 2018

3° posto: 1.890 grammi, 2014

Quasi a riprova della mutazione climatica, Il primo posto si perde lontano nel tempo; il Tartufo da record di 2520 grammi fu allora donato da Giacomo Morra, ineguagliabile imprenditore di Alba, all’allora Presidente degli Stati Uniti d’America. Il gesto gli costò certamente moltissimo, dal punto di vista economico, ma dette al Tartufo Bianco Pregiato una cassa di risonanza a livello mondiale. Senza queste intuizioni di quel grande imprenditore, probabilmente, la conoscenza e l’apprezzamento del pregiato fungo di cui si avvantaggia oggi l’intero mercato Italiano, certamente non avrebbero la stessa gittata.

Ma la storia del più grande ritrovamento conosciuto e certificato merita una pagina tutta sua, per cui  ecco dunque il link alla pagina appositamente predisposta per il Tartufo da record